I viaggiatori del cibo e del vino – Ep.3: Bartolomeo Stefani

Un cuoco deve conoscere, c’è poco da fare. Nella sua Opera (1570), Bartolomeo Scappi è molto chiaro a riguardo: “Il primo fondamento, sul quale [il maestro cuoco] ha da fidarsi principalmente, ha da essere la cognitione, et prattica di diversi modi di cose”: conoscere i territori e i prodotti, nonché le tecniche, sono la base per chiunque voglia eccellere nell’arte della cucina. Non è raro quindi trovare, nei libri scritti dai cuochi che lavoravano per conto delle grandi famiglie signorili, riferimenti alle tipicità del territorio, con elementi “gastrotoponomastici” – secondo un felice neologismo creato da Alberto Capatti – molto interessanti. Bartolomeo Stefani, cuoco di origine bolognese al servizio dei Gonzaga a Mantova, nel suo “L’arte del ben cucinare” (1662) – vero e proprio caposaldo di scrittura culinaria italiana – ci lascia un’interessante cornice della regione emiliana, tracciando brevi, ma intense descrizioni di Bologna, Modena e Ferrara, con prodotti che noi spesso non associamo a queste terre. Che Bologna fosse nota per le mortadelle e le sue uve non ci stupisce, ma i cardi e i finocchi? Oggi gustiamoci questo volo d’uccello sulle terre che tanto amiamo scoprire ogni giorno, nei calici di vino che accompagnano le nostre giornate: la settimana prossima vi faremo una sorpresa, sempre grazie a Bartolomeo Stefani: un banchetto “che si potrà fare in giorno di magro per venticinque Dame e venticinque Cavalieri, per li mesi di Giugno e Luglio”. Non perdetevelo!

Daniele Ognibene, storico del vino e dell’alimentazione
Université de Genève
Università di Bologna

“Bologna mia patria produce anch’essa nell’inverno finocchi cardati di tutta candidezza e bontà, e cardi che pesano trenta in quaranta libbre l’uno; e l’uve colà si conservano per tutti i tempi freddi. Inoltre abbonda d’olive di grossezza e perfettione al pari di quelle di Spagna, e di queste cose ne comparte a tutta la Lombardia, Romagna, Fiorenza e province vicine, persino a Roma. Di più fabrica mortadelle d’esquisita bontà, che sono famose per tutta l’Italia. […] Modena provede anch’ella le cucine delle sue delicate salsiccie, esquisite per far suppe et ornar vivande. Parrebbe Ferrara sola rimaner povera tra tante città, se non che co’ suoi delicati pesci (non parlo di quelli delle valli) sommerge l’honore delle altre città in un mare di delicatezze, oltre che con i suoi cinghiali, di quali è feracissima, loro dà non poche cingiate, come anco porta il vanto per il caviale perfettissimo di sturione”.

(Cfr., Antonella Campanini, Il Cibo. Nascita e storia di un patrimonio culturale, Roma, Carrocci Editore, 2019, pp. 76-77)

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